La fine di un'era

Una storia che inizia nel 1958, quella de I Crodaioli, quando il coro fu fondato dal maestro Bepi De Marzi. Da allora si susseguirono concerti, tournée, esibizioni in cui musica e poesia sono sempre state protagoniste. Decine i canti che portano la firma del maestro, uno fra tutti quello che dà il nome al nostro coro: Joska, la rossa!.

Finisce oggi, nel 2019, il viaggio iniziato poco più di sessant'anni fa. Le cause, riportata il loro sito web, vanno cercate nelle "ragioni molto delicate dipendenti dalla situazione auditiva di Bepi De Marzi dovuta all’incidente dello scorso maggio".

Se ne va deluso, il maestro, come dichiara in un'intervista della quale riportiamo i passaggi per noi più significativi:

Non ti ascoltano o non si ascoltano più, cori maschili e cori misti non vogliono più capire ciò che stanno o ciò che si sta cantando. [...] È mutato tutto l’ambiente, è diventato irriconoscibile. Sono stati aboliti i concerti corali. I cori cantano tra di loro: io ascolto te, tu ascolti me. [...] Adesso si suona e si canta come fosse una competizione, i cori si esibiscono per stupire, per fare effetto. Nelle messe televisive i telegiornalisti parlano e coprono tutto quando cantano i cori. C’è avventurismo sia nel comporre che nell’eseguire. Ma tutti scrivono canti. Ma sono capaci?

Un'intelligente critica al panorama contemporaneo che pone sempre più l'apparenza sopra alla buona musica, parole che vanno lette e collocate nel contesto in cui viviamo.

Ma vi sono altri aspetti e punti di vista che vale la pena considerare. I tempi cambiano, i gusti e i sentimenti anche, e ciò che un tempo poteva dirsi "il sentire popolare" oggi non lo è più. Allo stesso tempo qualcosa resta, mutato e cambiato: non si fa più filò nelle stalle, ma la voglia di stare insieme e raccontarsi storie sopravvive in occasioni dai nomi improbabili come happy hourapericena.

È opportuno chiedersi se non siamo noi, i cori, a sbagliare qualcosa.

Se "i cori cantano tra loro" forse è perché non sono più in grado di incontrare le esigenze e le aspettative del pubblico. Abbiamo riscontrato che, per molti, "preservare la tradizione" è sinonimo di cantare ciò che ci è sempre cantato, con la stessa forma e modalità con cui lo si è sempre fatto. Il risultato è oggi davanti a noi.

Ma qualcuno si è spinto all'estremo opposto: esibizioni appariscenti, corredate di sceneggiate, teatrini e altre accattivanti ostentazioni che, con la musica, hanno poco o nulla a che fare.

Beninteso che tutto ciò che non è canto va condannato a priori: se strumenti, coreografie, danze e costumi possono aiutare a esprimere un sentire musicale -e, al tempo stesso, attirare l'attenzione di un pubblico distratto- perché non servirsene? In fondo, chi può negare che il termine "coro" derivi dal greco khorós col significato di "danza unita al canto"?

Sarà allora questa la direzione che il nostro coro seguirà da oggi in poi: cambiare, adattare, trasformare la forma, l'estetica, mantenendo vivo il "sentimento originario" dietro alla nostra musica!

Pubblicato il 13/09/2019, 10:41